La vexata quaestio della mancata indicazione nel contratto di mutuo della modalità di ammortamento c.d. alla francese e del regime di capitalizzazione composta degli interessi debitori: la parola alle Sezioni Unite.

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A cura di Francesca Ranucci

Come noto, l’articolo 3, comma 27, lett. C) del d.lgs. n. 149 del 10 ottobre 2022 (c.d. Riforma Cartabia) ha introdotto, all’interno del codice di procedura civile, il nuovo art. 363-bis, rubricato “Rinvio pregiudiziale”, il quale, al fine di assicurare la funzione nomofilattica della Cassazione e di evitare l’insorgenza di future liti, consente al Giudice di merito di disporre, con ordinanza, il rinvio pregiudiziale degli atti alla Suprema Corte per la risoluzione di una questione di diritto, in presenza di tre presupposti concorrenti:

  1. la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non è stata ancora risolta dal Giudice di legittimità;
  2. la questione presenta gravi difficoltà interpretative;
  3. la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi.

Il Primo Presidente della Cassazione, ricevuta l’ordinanza recante le varie interpretazioni ipotizzabili sul tema, entro novanta giorni, sarà tenuto a trasmettere la questione alla Sezione Semplice o alle Sezioni Unite – sempre che venga superato il vaglio di ammissibilità – per l’enunciazione del principio di diritto vincolante nel giudizio, nell’ambito del quale la vexata quaestio è stata posta.

Di tale istituto si è avvalso il Tribunale di Salerno, quando, lo scorso luglio, ha ritenuto necessario interpellare la Cassazione in merito alle conseguenze giuridiche derivanti dall’omessa indicazione, all’interno di un contratto di mutuo bancario, del regime di capitalizzazione composta impiegato per la determinazione degli interessi debitori – pure a fronte di una previsione scritta del TAN contrattuale – nonché della modalità di ammortamento – c.d. alla francese – utilizzata.

Più precisamente, il Tribunale di Salerno, con ordinanza del 19 luglio 2023, ha chiesto alla Prima Presidente della Suprema Corte se tali carenze di espressa previsione negoziale possano comportare gli estremi della indeterminatezza e/o indeterminabilità dell’oggetto contrattuale e, quindi, una ipotesi di nullità strutturale in forza del combinato disposto degli articoli 1346, 1418, comma 2, c.c. e 117, comma 4, TUB, con conseguente applicazione del tasso sostitutivo B.O.T. di cui al settimo comma del predetto ultimo articolo.

La questione – rectius le questioni -, come richiesto dall’art. 363 – bis c.p.c., presenta(no) gravi difficoltà interpretative.

I. Prima questione: conseguenze derivanti dalla mancata indicazione nel contratto di mutuo della modalità di ammortamento

Per quel che concerne il tema delle conseguenze derivanti dalla mancata indicazione, nel contratto di mutuo, della modalità di ammortamento c.d. “alla francese”, si può ipotizzare una prima interpretazione, per cui da tale omessa indicazione non deriverebbero conseguenze di sorta né in punto di indeterminatezza e/o indeterminabilità dell’oggetto del contratto, né in punto di nullità, ai sensi dell’art. 117 TUB.

In base a questa prima tesi ermeneutica, ogniqualvolta al contratto di mutuo venga allegato il piano di ammortamento, il cliente sarà posto nelle condizioni di poter evincere la modalità di ammortamento impiegata e, quindi, la composizione delle singole rate in cui viene frazionata nel tempo l’obbligazione restitutoria (in questo senso, Cass. Civ., sentenza n. 23972/2010).

Invero, la mancata indicazione della modalità di ammortamento non incide pregiudizialmente sul costo dell’operazione, riguardando la stessa esclusivamente la composizione delle singole rate e costituendo nient’altro che la logica e naturale applicazione di quanto contrattualmente pattuito nelle condizioni economiche redatte per iscritto all’interno del contratto e, in quanto tali, conosciute e conoscibili ex ante dal cliente.

A questa prima interpretazione, se ne contrappone un’altra secondo la quale la mancata indicazione della tipologia di ammortamento impiegata incide, in termini di validità, sul contratto di mutuo. Più precisamente, sebbene la modalità di ammortamento possa essere evinta dalla lettura del piano o dalle singole clausole contrattuali recanti le condizioni economiche del rapporto e benché, quindi, il mutuatario sarebbe astrattamente posto nelle condizioni di prevedere ex ante il criterio per determinare gli importi che da essa discenderanno, la mancata indicazione della stessa rende il contratto viziato sotto il profilo dell’indeterminatezza. A ben vedere, infatti, il cliente, nell’ambito dei contratti bancari, è normalmente privo del bagaglio di conoscenze tecniche indispensabili per comprendere la portata economica delle singole clausole, di talché la determinatezza e/o determinabilità dell’oggetto potrebbe restare tale solo su carta, con una conseguente ontologica disparità di forza tra le parti contrattuali.

In questa seconda prospettiva, la mancata indicazione della modalità di ammortamento c.d. alla francese non potrebbe essere priva di conseguenze, nonostante sia possibile risalire ad essa grazie ad una attenta lettura delle clausole contrattuali o dello stesso piano di ammortamento. La modalità di ammortamento alla francese, specie in relazione all’applicazione del regime di capitalizzazione c.d. “composta” degli interessi debitori, determinerebbe un incremento del costo complessivo del denaro preso in prestito dal cliente, in particolare allorquando vengano ad essere corrisposti dapprima gli interessi (capitalizzati in modo “composto”) e poi la sorte capitale; di talché anche la modalità di ammortamento c.d. “alla francese” costituirebbe un “prezzo”, un “costo”, che va esplicitato chiaramente all’interno del contratto bancario, in ossequio al disposto del quarto comma dell’articolo 117 T.U.B..

II. Seconda questione: conseguenze derivanti dall’omessa indicazione del regime di capitalizzazione composta degli interessi debitori

Anche per quel che attiene la diversa questione delle conseguenze derivanti dalla mancata indicazione, nel contratto di mutuo, del regime di capitalizzazione composta degli interessi, il Tribunale di Salerno individua due diverse tesi interpretative.

Secondo una prima soluzione ermeneutica, la mancata indicazione del regime di capitalizzazione composta – anziché semplice – non comporterebbe alcuna conseguenza in termini di validità del contratto per indeterminatezza e/o indeterminabilità degli interessi passivi ultralegali ai sensi dell’articolo 1284 c.c. e per un eventuale mancato rispetto di quanto disposto dall’art. 117 T.U.B., atteso che, anche in questo caso, il cliente potrebbe pur sempre evincere il regime di capitalizzazione grazie alla lettura delle condizioni economiche pattuite.

In questo senso depone la Terza Sezione della Suprema Corte, secondo la quale “Ciò che importa, onde ritenere sussistente il requisito della determinabilità dell’oggetto del contratto di cui all’art. 1346 cod. civ. (rispetto al quale l’art. 1284 cod. civ. contiene l’ulteriore previsione dell’onere di forma per la convenzione di interessi superiori alla misura legale) è che il tasso d’ interesse sia desumibile dal contratto, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all’istituto mutuante, anche quando individuato per relationem.

In quest’ultimo caso, mediante rinvio a dati che siano conoscibili a priori (cfr. già Cass. n. 2765/92 e n. 7547/92 cit. in ricorso, nonché Cass. n. 22898/05, n. 2317/07, n. 17679/09, tra le più recenti) e siano dettati per eseguire un calcolo matematico il cui criterio risulti con esattezza dallo stesso contratto. I dati ed il criterio di calcolo devono perciò essere facilmente individuabili in base a quanto previsto dalla clausola contrattuale, mentre non rilevano la difficoltà del calcolo che va fatto per pervenire al risultato finale né la perizia richiesta per la sua esecuzione” (cfr. Cass. Civ., III sez., sentenza n. 25202/2014).

In base ad una seconda tesi ermeneutica, invece, il regime di capitalizzazione composta degli interessi andrebbe espressamente indicato nel contratto, in quanto tale modalità di capitalizzazione, in cui, cioè, l’interesse sommato alla sorte capitale produce a sua volta interessi – pur non essendo vietata di per sé dall’ordinamento – necessiterebbe di una espressa previsione per iscritto e di una adeguata e chiara previsione nei confronti del cliente, in quanto contraente più debole del rapporto.

A ben vedere, secondo i fautori di questa seconda teoria, la scelta di una determinata modalità di capitalizzazione degli interessi diversa da quella semplice, che costituisce il “modus” fisiologico di computo degli interessi ai sensi dell’art. 821, comma 3, c.c., influendo sul costo complessivo del contratto, dovrà essere prevista per iscritto in modo chiaro, comprensibile ed inequivocabile.

L’omessa indicazione del regime di capitalizzazione composta, incidendo sulla determinatezza del tasso, comporterebbe, invero, una violazione del requisito della forma prescritta “ad substantiam” a pena di nullità (c.d. “relativa”, azionabile cioè solo dal cliente e rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse ai sensi dell’articolo 127, comma 2, T.U.B.) – ai sensi dell’articolo 117, comma 4, T.U.B..

Rappresentando un costo, la modalità di capitalizzazione composta dovrà essere espressamente indicata, pena la nullità parziale del contratto ai sensi dell’art. 117, quarto comma, TUB, con conseguente sostituzione del tasso degli interessi con il tasso sostitutivo B.O.T. di cui al successivo settimo comma e rideterminazione del piano di ammortamento (cfr. in tal senso Trib. Bari, ordinanza del 04/11/2021; Trib, Vicenza del 22/2/2022).

La necessità che il regime di capitalizzazione “composta” sia chiaramente indicato ed esplicitato nel contratto comporterebbe, dunque, che esso non possa in alcun modo ritenersi rispettato per il fatto che le condizioni economiche contenute nel contratto (es. differenza tra T.A.N. e T.A.E., con quest’ultimo indicato in misura maggiore del primo) oppure la composizione delle singole rate indicate all’ interno del piano di ammortamento consentirebbero al cliente di verificare in concreto che è stata prevista, appunto, la capitalizzazione “composta”.

A sostegno di questa seconda tesi, il Tribunale di Salerno, nell’ordinanza di rimessione alla Suprema Corte, richiama l’orientamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in base al quale violerebbe l’art. 4, par. 2, Direttiva 93/13/CEE, in quanto priva di chiarezza, la clausola che non consente al consumatore di avere piena contezza delle condizioni della futura esecuzione del contratto sottoscritto, al momento della sua conclusione e, di conseguenza, di essere in possesso degli elementi idonei ad incidere sulla portata – specie economica – del suo impegno (CGUE, decisione del 20/09/2018, causa C-448/17).

Oltre alla Decisione europea, il Giudice rimettente, al fine di argomentare questa seconda tesi ermeneutica, cita anche alcune sentenze della Suprema Corte pronunciatesi – con riferimento a contratti di leasing – in tema di trasparenza bancaria (cfr. Cass. Civ., III sez., sentenza n. 16907 del 6 marzo 2019, nonché Cass. Civ., sentenza n. 12889 del 13 maggio 2021).

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Sulla base delle suesposte considerazioni e, tenuto conto della circostanza per cui le questioni prospettate possano porsi in numerosi giudizi, il Tribunale di Salerno ha disposto il rinvio pregiudiziale, ex art. 363-bis c.p.c., alla Corte di Cassazione per la risoluzione della seguente questione di diritto:

«Dica la Corte di Cassazione se la mancata indicazione della modalità di ammortamento c.d. “alla francese” e/o del regime di capitalizzazione “composto” degli interessi passivi all’ interno di un contratto di mutuo bancario stipulato nella vigenza del D.Lgs. n. 385 del 1993, anche per il caso in cui la modalità di ammortamento c.d. “alla francese” ed il regime di capitalizzazione “composto” siano desumibili dal cliente facendo ricorso al complesso delle condizioni contrattuali ed economiche pattuite (comprese quelle contenute nel piano di ammortamento allegato al contratto), integri oppure no un’ipotesi di nullità parziale del contratto di mutuo bancario ai sensi dell’articolo 117, comma 4, del d.lgs. n. 385 del 1993, con le conseguenze di cui al comma 7 della succitata disposizione”».

III. L’ordinanza della Prima Presidente della Cassazione

Con ordinanza depositata in data 7 settembre 2023, la Prima Presidente della Corte di Cassazione ha ritenuto ammissibile, pur non avendo il Giudice rimettente sentito preliminarmente le parti sul punto, il rinvio effettuato dal Tribunale di Salerno.

Più precisamente, la Prima Presidente dà atto del fatto che la disciplina introdotta dalla Riforma Cartabia non specifica quali siano le conseguenze della mancata attivazione del contraddittorio, né rispetto all’ordinanza di rinvio né rispetto al successivo iter presso la Suprema Corte.

Secondo una prima tesi dottrinaria, l’ordinanza di rinvio disposta senza aver sentito previamente le parti sarebbe irrimediabilmente nulla, in quanto emessa in violazione del principio del contraddittorio. Ancorché all’apparenza la mancata attivazione del contraddittorio non sia sanzionata da alcuna previsione normativa, alla relativa omissione dovrebbe far seguito l’inammissibilità del rinvio.

In base ad una diversa opinione, il difetto di contraddittorio dinanzi al giudice di merito non sarebbe motivo di inammissibilità del rinvio da dichiarare in sede di filtro presidenziale, in quanto l’art. 363 – bis c.p.c. limita le ragioni di inammissibilità alla mancanza di una o più delle condizioni indicate nei numeri 1), 2) e 3) del primo comma, cioè ai soli presupposti oggettivi del rinvio.  

Fatte queste brevi premesse, la Prima Presidente ha rimesso direttamente al Collegio la valutazione circa le conseguenze dell’omessa attivazione del contraddittorio dinanzi al giudice a quo ed ha dichiarato l’ammissibilità del rinvio pregiudiziale, sussistendo tutti e tre i presupposti richiesti dall’art. 363 – bis c.p.c.:

  1. la questione, necessaria per la risoluzione del giudizio innanzi al Giudice a quo, è nuova, non essendo stata ancora risolta dalla Corte di Cassazione;
  2. come correttamente rilevato dal Tribunale di Salerno, la questione presenta gravi difficoltà interpretative, tenuto conto delle tesi ermeneutiche contrappostesi sul tema;
  3. la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi.

Stante quanto sopra, la Prima Presidente ha ritenuto che la questione dovesse essere assegnata alle Sezioni Unite Civili, investendo – anche in considerazione del problema processuale della sorte dell’ordinanza di rinvio adottata senza previa attivazione del contraddittorio tra le parti – un ambito normativamente assegnato al vaglio, sostanzialmente esclusivo, del Collegio allargato della nomofilachia.

IV. Considerazioni conclusive

Nell’ordinanza di rimessione, pertanto, il tema dell’omessa indicazione della modalità di ammortamento, nonché del regime di capitalizzazione composto impiegato, si incrocia con le tematiche della trasparenza bancaria, della nullità contrattuale di cui all’art. 117 TUB, nonché dell’invalidità per indeterminatezza e/o indeterminabilità dell’oggetto del contratto.

Pare, anzitutto, necessario chiarire che, in matematica finanziaria, la rata costante, quale quella presente nell’ammortamento alla francese, è compatibile con la sola capitalizzazione composta.

Ne consegue che la previsione di un ammortamento a rata costante sottende implicitamente anche l’impiego di un regime finanziario composto.

Ciò premesso, caratteristica del piano di ammortamento alla francese è la peculiare composizione della rata, prevedendo una quota di capitale crescente ed una quota di interessi decrescente.

Il regime di capitalizzazione composta, quale quello impiegato nel piano di ammortamento alla francese concorre necessariamente alla determinazione del corrispettivo nei mutui bancari, poiché da essa dipende la quantità di interessi che il mutuatario dovrà restituire.

In particolare, l’ammortamento alla francese – rispetto a quello all’italiana – comporta inevitabilmente l’aumento del corrispettivo dovuto dal cliente, quale controprestazione del finanziamento. Ciò in quanto, maggiore è la somma di cui si dispone per più tempo, maggiore sono gli interessi che si dovranno pagare sulla stessa. La modalità di imputazione concorre, invero, a determinare il costo effettivo del mutuo.

Pertanto, il TAN contrattuale, in caso di ammortamento alla francese sarà tendenzialmente inferiore rispetto al tasso effettivo.

Quanto detto consente di evidenziare come il TAN del contratto assuma connotati non esattamente sovrapponibili sul piano finanziario e sul piano giuridico.

Mentre, infatti, in ambito giuridico il TAN indica il tasso applicato annualmente dall’istituto finanziario in percentuale sull’importo totale del finanziamento (questo tasso è considerato “puro” perché misura gli interessi passivi da corrispondere in un anno per aver ottenuto il prestito), in matematica finanziaria il TAN individua un parametro da impiegare nel calcolo del costo del finanziamento che prescinde dai tempi di pagamento, dal regime finanziario adottato e, naturalmente, dagli eventuali oneri, commissioni e spese annessi. Il TAN individua il parametro impiegato nell’algoritmo necessario a calcolare il “regime di equivalenza intertemporale” che deve sussistere in ogni rapporto di credito tra l’importo erogato al momento della stipula e il totale che dovrà essere restituito. Sempre sul piano finanziario, l’ammontare degli interessi dipende, oltre che dal TAN impiegato, anche dalle modalità di calcolo degli stessi, implicita nel regime finanziario adottato.

Ciò vuol dire che, in ambito matematico finanziario, il TAN, se impiegato in regime composto, con gli interessi capitalizzati anziché pagati, può riportare un dato inferiore a quello reale, se pur corretto, perché perde la capacità di esprimere, nel dato numerico, l’ammontare del costo nominale annuo dell’importo finanziato e ciò perché tale dato non tiene conto del possibile effetto esponenziale determinato dall’inclusione nella base di calcolo degli interessi già addebitati, peculiarità implicita nel regime composto impiegato. Al contrario, il medesimo TAN nel regime semplice esprime una misura proporzionale al capitale finanziato, coerentemente intercambiabile con il prezzo dato dall’ammontare degli interessi.

La capitalizzazione composta è in realtà, quindi, utilizzata unicamente al fine di individuare la quota capitale da restituire in ciascuna delle rate prestabilite, per soddisfare la già citata “equivalenza finanziaria”.

A prescindere da ciò, quel che c’è da comprendere – rectius che la Sezioni Unite dovranno dirci – è se l’indicazione del regime finanziario composto e la modalità di ammortamento c.d. alla francese siano elementi essenziali del contratto e se, quindi, l’omessa informazione di tali condizioni comporti una qualche conseguenza.

  • La prima opzione sul tavolo del Sommo Consesso è che l’omessa indicazione del regime finanziario e della modalità di ammortamento non abbia conseguenze di alcun tipo.
    A ben vedere, la Suprema Corte potrebbe ritenere che la mancata indicazione della modalità di ammortamento non incida pregiudizialmente sul costo dell’operazione, riguardando la stessa esclusivamente la composizione delle singole rate e costituendo nient’altro che la logica e naturale applicazione di quanto contrattualmente pattuito nelle condizioni economiche redatte per iscritto all’interno del contratto e, in quanto tali, conosciute e conoscibili ex ante dal cliente. Allo stesso modo, la mancata previsione del regime finanziario impiegato potrebbe non avere conseguenze in termini di invalidità del contratto per indeterminatezza e/o indeterminabilità degli interessi passivi ultralegali ai sensi dell’articolo 1284 c.c. o di nullità per violazione del quarto comma dell’art. 117 TUB, atteso che, anche in questo caso, il cliente potrebbe pur sempre evincere il regime di capitalizzazione dalla lettura delle condizioni economiche pattuite.
  • L’omessa indicazione della modalità di ammortamento e del regime di capitalizzazione potrebbe essere considerata rilevante sotto un profilo di indeterminatezza dell’oggetto, con conseguente nullità del contratto, per mancanza di uno degli elementi essenziali richiesti a pena di invalidità.
  • Le Sezioni Unite potrebbero ritenere che l’omessa indicazione del regime di capitalizzazione composta e della modalità di ammortamento, incidendo sulla determinatezza del tasso, comporti, invero, una violazione del requisito della forma prescritta “ad substantiam” a pena di nullità (c.d. “relativa”, azionabile cioè solo dal cliente e rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse ai sensi dell’articolo 127, comma 2, T.U.B.) – ai sensi dell’articolo 117, comma 4, T.U.B., con conseguente sostituzione del tasso degli interessi con il tasso sostitutivo B.O.T. di cui al successivo settimo comma.
  • Infine, l’omessa indicazione del regime di capitalizzazione composta degli interessi e della modalità c.d. francese del piano di ammortamento potrebbe rilevare sotto il diverso profilo della violazione dell’informativa precontrattuale, in ragione della divergenza tra il tasso indicato e quello effettivo, che implica, a tutto voler concedere, una responsabilità risarcitoria.

Inoltre, ammesso e non concesso che un obbligo di espressa indicazione debba riconoscersi, sarebbe interessante comprendere in che modo tale obbligo dovrà essere assolto.

Secondo una delle due tesi richiamate dal Tribunale di Salerno, non sarebbe sufficiente né l’indicazione del TAN e del TAE né l’allegazione del piano di ammortamento con lo sviluppo delle rate – sviluppo che, nei contratti, a tasso variabile non sarebbe neanche possibile ex ante al momento della stipula.

Né tale obbligo pare possa essere assolto con la mera indicazione della formula matematica impiegata per l’elaborazione del piano. Non avendo il cliente le conoscenze tecniche per comprenderla, potrebbe rivelarsi una informazione fine a sé stessa.

Pertanto, qualora la Suprema Corte dovesse ritenere configurabile un obbligo di espressa indicazione, si auspica che il Sommo Consesso chiarisca anche come tale obbligo dovrà essere assolto dalle Banche.

In considerazione di tutto quanto sopra, non possiamo fare altro che attendere la decisione delle Sezioni Unite, decisione che, per quanto è ovvio, qualora dovesse prendere una direzione piuttosto che un’altra determinerebbe conseguenze rilevanti – per usare un eufemismo – per la totalità degli istituti di credito.